Un’azienda che produce motoseghe non può presentare se stessa e i propri prodotti utilizzando lo stesso tono di una casa che si occupa di cosmetici. In mezzo ci deve essere un mare, e su queste rive opposte, due tone of voice completamente differenti.
Avevo già provato, qualche giorno fa, a scrivere un post sul tone of voice, finendo però per parlare di tutt’altro. Il problema, dal punto di vista di un copywriter, è che la questione del tone of voice è davvero immensa: si sa dove inizia, ma non dove finisce. Questo concetto è un elemento implicito del marketing: che cos’è infatti il marketing se non la progressiva costruzione, definizione ed esaltazione di un brand? A sua volta, quello che eleva la pura e semplice merce ad essere un brand è il messaggio che vi aleggia attorno, e a definire questa aura magica è proprio il tone of voice, ovvero la tonalità espressiva usata per la comunicazione.
Cos’è il tone of voice? Da merce a brand
Dal punto di vista di un’azienda, quindi, comprendere cos’è il tone of voice è abbastanza semplice: è il modo attraverso il quale un brand comunica a tutti i suoi potenziali clienti il proprio prodotto, un elemento che deve restare costante di progetto in progetto, e che deve legare a doppio filo l’azienda ai suoi clienti. Quindi non deve essere unicamente riconoscibile e unico, ma anche mirato: il tone of voice di un’azienda, dunque, deve essere modulato seguendo il proprio target di riferimento. In un universo business-to-business, per esempio, si eviteranno testi troppo frizzanti o divertenti, preferendo invece una tono che trasmetta serietà ed affidabilità. Se invece il bacino di utenza del business è composto perlopiù da giovani, i messaggi devono essere, in generale, più spigliati, semplici e genuini.
Tone of voice e comunicazione B2B
L’importante è evitare come la peste una comunicazione aziendale asettica: questo significherebbe azzerare il livello di tone of voice, vanificando in gran parte il lavoro di copywriting. Comunicare efficacemente un brand significa infatti allontanarsi il più possibile dallo stile piano e monolitico delle agenzie di stampa: l’obiettivo è quello di far riconoscere la propria azienda ancora prima di nominarla. E per rendersene conto basta guardare alle scelte fatte anni fa e mantenute nel tempo da marchi come Coca-Cola, Nike e Apple, solo per citare alcuni dei casi – non per niente – più famosi.
Ma veniamo al lato veramente operativo di questa faccenda, ovvero al lavoro del copywriter. Le possibilità, in questo senso, sono due: o ci si trova davanti un’azienda che ha già definito nel corso del tempo un proprio tone of voice, oppure ci si ritrova a fronteggiare una realtà che sta ancora cercando di costruire la propria tonalità di espressione. In nessuno dei due casi, però, si avrà a che fare con una passeggiata priva di insidie.
Costruire il tone of voice perfetto per un’azienda
In questo caso, contrariamente a qualsiasi suo istinto naturale e professionale, il copywriter deve allontanarsi dalla tastiera. Non deve scrivere, ma stare in ascolto: il suo compito è quello di apprendere fino in fondo la cultura dell’azienda, i suoi punti di forza e quelli di debolezza. Questo significa mettersi pazienti in un angolo e ascoltare dirigenti, dipendenti, clienti, persino la concorrenza. Per essere un copywriter provetto è doveroso appropriarsi dei valori fondamentali dell’azienda, e solo alla fine di questo delicato – e noioso – ma indispensabile processo sarà possibile tornare ad imbrattare d’inchiostro i tanto cari e illibati fogli. Prima di buttarsi a capofitto nella stesura dei testi può essere molto utile redigere una lista di aggettivi cardinali in grado di descrivere perfettamente l’azienda e il suo modo di fare business: queste sparute – ma cariche di significato – parole saranno le fondamenta sulle quali costruire il tone of voice perfetto, il quale dovrà essere poi modulato secondo le esigenze del target di riferimento. Solo qui, arrivati a questo punto, si potrà iniziare a martellare la tastiera a suon di pezzi.
Entrare in gioco quando il tone of voice è già stabilito
Bella gatta da pelare. Un predecessore, o talvolta il titolare dell’azienda, ha già impostato il tone of voice, e i risultati sono buoni. A quel punto si inserisce un nuovo copy, il quale si trova costretto a portare avanti un lavoro già avviato, con l’obiettivo prefisso di dare ai clienti l’impressione che a digitare quei caratteri sulla tastiera sia sempre la medesima persona. Anche qui, la prima cosa da fare è ascoltare, o meglio: leggere. Leggere tutto quello che è già stato scritto per quell’azienda, e assimilarne ogni singola caratteristica: è infatti necessario fare proprio quel tipo di scrittura, sia essa sensuale o istituzionale, ammiccante o fredda, infarcita di avverbi patinati o immediata. A questo punto inizieranno le prove: newsletter, comunicati stampa, post, tutti quanti rigorosamente fittizi e da proporre ai dirigenti e a qualche amico fidato, in modo da trovare ogni piccola sfasatura rispetto al tone of voice originale. Una volta ricevuto l’ok dalle alte sfere, potrà iniziare il vero lavoro, dando così voce all’azienda nel migliore dei modi.