Non solo diabolico: scrivere per fare lead generation
Fare copywriting persuasivo non significa convincere la gente a comprare qualcosa di cui non ha bisogno. O almeno, non solo: quello è unicamente il lato più diabolico e più markettaro del lavoro di un copywriter. La scrittura persuasiva si usa anche in altri contesti, del tutto slegati alla vendita di un dato servizio o prodotto. In generale, questa tecnica serve a creare dei contenuti web capaci di attirare l’attenzione dei lettori, non soltanto in ambito commerciale. Avete presente quando vi ho parlato della lead generation? Ecco, come dicevo in quel post, non sempre un utente viene spinto a forza in un funnel per fargli concretamente comprare qualcosa. L’eventuale atto commerciale, del resto, avviene solo alla fine di quel faticoso tragitto, quando il lettore non è più un utente qualsiasi. A quel punto, trovandosi davanti un potenziale cliente, cercare di vendere qualcosa non è più tanto demoniaco, tutt’altro: è la prassi, è un comportamento legittimo, e chi si trova dall’altra parte dello schermo lo sa e se lo aspetta. Anzi, a quel punto probabilmente lo desidera. E grazie a che cosa quell’individuo sarà passato dalla pura lettura disinteressata di un testo al desiderio di acquistare qualcosa? Semplice: grazie al copywriting persuasivo. E grazie ad un prodotto e ad un servizio pregevole, ovviamente, perché di pure parole non vive nessuno, nemmeno quella figura mitologica che è il lettore.
(No, tranquilli, in fondo a questo post non c’è nessuna offerta commerciale. Non sto cercando di trasformarvi in clienti. Mi accontento, semmai, di un veloce like sulla mia pagina Facebook).
Il copywriting come dovrebbe essere
Se dunque non si tratta di manipolare le menti delle persone, cosa differenzia il semplice copywriting da quello persuasivo? In realtà la differenza è flebile, un po’ evanescente. Si potrebbe dire, come dichiarano quelli di Pennamontata, che «il copywriting persuasivo è il copywriting come dovrebbe essere. Quello che fa ottenere all’azienda i risultati veri, in termini di vendite, contatti, immagine». Il suo scopo è dunque prima di tutto quello di attirare i lettori con dei contenuti interessanti e ammiccanti, mirando a stabilire un rapporto emozionale. Non vuol dire giocare sporco: non si sta chiudendo l’utente in una gabbia forgiata nell’inganno, al contrario, gli si tende semplicemente una mano, con una storytelling onesta e, per quanto possibile, empatica. In altre parole, è necessario essere consapevoli dell’eventuale prodotto da vendere e allo stesso tempo della presenza fisica ed emotiva del lettore dall’altra parte dello schermo. Ed è per questo che il copywriting è lontanissimo dall’essere pura e fredda tecnica: bisogna tener conto di come l’utente può reagire ad un testo, anticipandone se possibile i bisogni impliciti, così da suscitarne in definitiva gli effetti ricercati. Sì, esatto, è un’altra sviolinata sul copywriting come forma d’arte piuttosto che scienza. Ma la chiudo qui.
Le regole del copywriting persuasivo
Quali sono, dunque, le regole del copywriting persuasivo – se di regole si vuol proprio parlare? Provo a snocciolare qui sotto le principali, con la premessa che no, nessun elenco può essere veramente esaustivo. Ogni copywriter, del resto, si comporta in modo differente di caso in caso, modulando il tipo di comunicazione a seconda delle proprio esigenze e di quelle del cliente, del target, del prodotto da vendere, del periodo dell’anno e dell’episodio di Mad Men visto la sera prima.
Make people feel something
Perché in inglese? In italiano mi sembrava un po’ troppo smielato. Eppure è proprio così: un testo di copywriting persuasivo deve innescare delle emozioni nella testa del lettore. È anche una questione scientifica, che ha a che fare con i neuroni specchio. Avete mai visto quei video assurdi su YouTube nei quali si vedono carrellate di persone – solitamente ragazzini estremamente annoiati – cadere in bicicletta, cadere con gli sci, cadere dalla cavallina eccetera? Ebbene, quando dopo l’ennesimo video di un tizio che finisce con il muso sul pavimento, prima o poi – dipende dalla reattività e dal livello di empatia – sentirete qualcosa di simile ad un colpo sul naso. Ecco, quello è l’effetto dei neuroni specchio. Un buon copywriter, a questo punto, capisce che deve smetterla di perdere tempo su YouTube e che deve usare questo stesso principio nella scrittura dei suoi testi. Dovete scrivere un testo per una casa che produce caminetti? Quel pezzo dovrà riportare i lettori a quelle sere adolescenziali passate in baita, mentre fuori nevicava. Dovete scrivere un testo per la vendita di un software antivirus? Il vostro obiettivo sarà quello di far rivivere agli utenti tutta la rabbia e la frustrazione che hanno provato l’ultima volta in cui lo schermo del loro computer ha iniziato a vivere di vita propria. Make people feel something, appunto.
Sintesi e chiarezza di fondo
Per convincere qualcuno, un copywriter non deve usare paroloni o frasi arzigogolate: il messaggio deve arrivare chiaro e nitido. Non si sta cercando di raggirare l’utente, e nemmeno di annoiarlo o di farlo imbestialire. Il testo deve quindi essere abbastanza sobrio, con un linguaggio comprensibile per l’intero target di riferimento: in un contesto B2C, quindi, nessun tecnicismo esasperato. E poi, non dimenticate il sacro dono della sintesi. Che non vuol dire essere brevi: significa invece dedicare il giusto spazio ad ogni concetto, né più né meno.
Iniziare con un buon titolo
Senza cadere nel sensazionalismo più sfrenato, che puzza di marketing a miglia di distanza, bisogna tenere pur sempre presente che i titoli dei post sono gli unici strumenti in grado di catturare l’attenzione di un lettore distratto. La maggior parte degli utenti leggeranno solamente quelli, ed è per questo che devono essere i più accattivanti possibile. Si può impostare il titolo come una domanda aperta (per stimolare la curiosità), si può usare un imperativo (per dare sicurezza), si può impostarlo sul tipico costrutto ‘Come…’ (per offrire una soluzione pronta), si possono usare numeri (per dare l’illusione di un contenuto rapido e funzionale). Insomma, si può tentare di tutto: l’importante è non essere noiosi, né esagerati.
Realizzare call to action efficaci
L’ho spiegato in un altro post: le call to action sono il punto in cui i nodi arrivano al pettine. Lì si può vedere se un utente è stato rapito dal nostro persuasive copywriting oppure no. È un invito a fare un’azione concreta, un incentivo che può trasformare un semplice lettore in un utente profilato, e perché no, anche in un cliente.
Puntare sui benefici
Perché un utente dovrebbe iscriversi alla vostra newsletter? Perché quella donna dovrebbe acquistare quella nuova borsetta? Perché quell’azienda dovrebbe richiedere i miei servizi da copywriter? Per convincere qualcuno ad esporsi è necessario mostrare in modo chiaro i benefici della sua azione. Nessuno fa niente per niente, tanto meno per un mare di chiacchiere. Per questo, nel copywriting persuasivo, bisogna puntare tutto sui benefici. Gli utenti devono iscriversi alla vostra newsletter perché saprete tenerli informati settimana dopo settimana come nessun altro potrebbe fare, così da non perdere nemmeno la più marginale e succosa delle notizie. Quella donna deve comprare quella borsetta perché può contenere più oggetti di quella di Mary Poppins ma è allo stesso tempo all’ultimo grido, e fa pendant con le sue bellissime scarpe. Quell’azienda dovrebbe chiedermi un preventivo perché posso aiutarla ad aumentare le sue vendite con dei contenuti di qualità, in modo onesto e trasparente.
Persuasi?
Ecco, questo è il momento di mettere un like su Facebook, se non l’avete già fatto.